Jazz Life (!?)

Sono mesi che voglio scrivere questo post, ma il logorio della vita moderna rende tutti pigri…e passivi nei confronti della rete. Approfitto dunque di qualche minuto di stop forzato in fila all’ufficio postale per sperimentare la "Scrittura da telefonino". State ancora leggendo ? Questa era solo la premessa…
Il motivo del presente post é cercare di rispondere alla domanda che molti amici, diversi allievi ed alcuni colleghi ogni tanto mi fanno: "Quando fai il prossimo concerto?" . E davvero non so cosa, e come, rispondere.
Il discorso é ampio e, certo di annoiare piu’ di un internaura, scrivo piu` per mettere in ordine un paio di idee che per pretesa di spiegare "qualcosa" a "qualcuno".
Ho intitolato il mio ultimo Ep "La situazione del Jazz é AltAlienante" parafrasando le parole di un Art Director di un locale che per l`ennesima volta rimandava a data da destinarsi una serata con una mia formazione. Eh gia’ spesso le serate si rimandano all’infinito come uno spiacevole appuntamento dal dentista che si vuole procrastinare fino alla sua dissoluzione.
Ah a proposito di Locali, Club e Festival, sono fantastici quelli che non si degnano di rispondere alle mail, o ai messaggi sui social network visto che vanno più di moda, e ne approfittano nel frattempo per inserire i musicisti nelle loro mailing list e mandano decine di inviti a settimana, ad eventi lontani centinaia di Kilometri…
I promoter, o le agenzie hanno un comportamento più subdolo invece, non solo non rispondono, ma si fanno sentire "da amici" solo quando si avvicina il periodo dei Festival, per proporre i propri artisti, ovviamente questo capita a quanti di noi, e siamo molti, si prendono la briga di occuparsi della "Direzione Artistica" di un Festival…Che poi "Direzione Artistica" è una parola grande…per gli enti che finanziano il progetto non vuol dire"Mi fido dei tuoi gusti, hai carta bianca per proporre qualcosa di bello e nuovo", ma "Uelà, visto che tu sei uno di quelli che si divertono a fare musica, porta un pò al festival qualche amico a due lire, non euro lire, però deve essere famoso e popolare".
Ma torniamo a noi, tra un volo pindarico ed un tuffo carpiato, è possibile una "Jazz Life", vivere di Jazz come fosse un mestiere? Vivere della propria creatività, potendosi concentrare sui propri progetti. La risposta purtroppo è negativa.
Se per mestiere intendiamo un lavoro che viene retribuito, con i rispettivi contributi pagati, decisamente no. Intendiamoci sappiamo bene che quello del musicista è un lavoro precario, ed anzi in quanto tale ci permette di affrontare meglio, anche psicologicamente, le incertezze dell’attuale società. Ma dalla precarietà alla miseria, o peggio allo sprecare la propria vita ne passa…
Questa amara riflessione arriva dopo anni ed anni di public relations con Gestori di Locali, Organizzatori di Festival and so on… ore ed ore al telefono, o sul pc a mandare mail, o alla posta ad inviare cd/proposte/progetti. Rimediando cosa? Concerti con una certa continuità si, ma con pubblico sempre più indifferente (nei jazz club o locali si applaude per "tedio" o peggio per "abitudine" alla fine di ogni assolo…forse per festeggiare il fatto che si avvicina il "ritorno del Tema"). Cachet che ricoprono a malapena il viaggio e la benzina. Tanta soddisfazione nel potersi esprimere con la propria arte? A volte, perchè spesso per "ottenere" un ingaggio si è costretti ad "inventarsi" il progetto ammiccante del mese: l’ennesima "canzone italiana in Jazz", l’ennesimo "Omaggio a…", l’ennesimo "Musica da Film in Jazz" e se c’è anche UNA cantante…meglio perchè fa più chic ed eleganza. Praticamente Pianobar di Lusso. Chiaramente questo non è esprimere la propria arte, ma tirare a campare spacciando musica trita e ritrita e stratrita ad un pubblico che vuole solo immergersi in una non meglio precisata atmosfera di "Eleganza Jazz" come per scontare un atavico "Senso di Colpa Culturale". E’ mia ferma opinione che parte del pubblico degli stessi festival o delle stagioni teatrali frequenti i concerti così come i parrochiani frequentano la Chiesa la Domenica, il Jazz come nuovo Oppio dei popoli?
Il problema è che, con buona pace di tanti musicisti che accettano di buon grado la situazione, in questa maniera stiamo uccidendo la musica che amiamo. Una Musica, o meglio un modo di vivere LE MUSICHE, che nasce dalla schiavitù per arrivare alla libertà, che vive nel movimento e nel ballo ed ora "costringe" gli spettatori seduti in comodissime poltrone. Chiaramente non è una situazione prerogativa esclusiva dell’Italia, che comunque a livello di "deviazioni" non si fa mai mancare niente. Gli stessi grandi nomi dell’universo Jazzistico Statunitense ammettono con candore che se non fosse per i concerti estivi europei (che consentono loro di concentrarsi su registrazioni e progetti vari d’inverno) dovrebbero trovarsi un altro mestiere.
In Italia però manca la voglia di sperimentare…i giovani musicisti, che dovrebbero essere i più originali e provocatori, sono quelli che più facilmente cadono nella "trappola" del Jazz inteso come Repertorio…non ci si schioda nei concerti dall’esecuzione in stile Bebop degli Standards Classici. Forse non si pensa che gli standards non sono altro che la musica popolare che si ascoltava alla radio, ripensata in chiave Jazz, ma nessuno si azzarda al giorno d’oggi a suonare Lady Gaga in un concerto Jazz (o meglio qualcuno ci prova, ma sempre all’insegna del Pianobar).
Il Jazz è, a mio parere, la musica dove le IDEE incontrano gli ISTINTI, ma sembra che i musicisti oggi rinuncino ben volentieri alle une ed agli altri, pur di fare "cassetta" ed accumulare serate. Gli istinti sono repressi perchè spesso non sono opportuni nella maggior parte dei contesti musicali nei quali ci si trova a suonare. Le idee non vengono sviluppate, perchè sempre più spesso ci si ritrova in formazioni posticcie dove "chi c’è c’è" e nelle quali non si fanno le prove, in nome di una non precisata necessità di riservare tutta l’arte al "momento" dell’esibizione. In realtà quello che manca è la progettualità, la voglia di portare avanti e condividere uno scopo musicale unico ed allos tesso tempo multiplo. Molti dei più grandi capolavori del Jazz sono frutto di sperimentazioni fatte in "laboratorio", limate e perfezionate di concerto in concerto, di prova in prova. Ora di prove non se ne fanno…l’atteggiamento tipico è "Real Book a pag. 97" e si tira avanti come le vecchiette in Chiesa, rigorosamente ai primi banchi, con il libricino dei Canti Liturgici.
Forse è colpa delle tante scuole e dei corsi di jazz che hanno incanalato in percorsi obbligatori la creatività, dimenticando che il grande Leonardo (Da Vinci) diceva che "La sapienza è figliola dellesperienza". E’ dunque "normale" che oggi ci sia un approccio al Jazz in quanto REPERTORIO, quasi da Musica Classica, nella quale alcune cose vanno per ovvie ragioni suonate in QUEL modo.
La situazione discografica è uno specchio del live…ma deformante…Incidere un disco dovrebbe essere una testimonianza da lasciare ai posteri, una necessità ben precisa di comunicare. Ai nostri giorni viene invece usato, complici le vendite praticamente nulle, come biglietto da visita per poi partecipare ai festival, si incide appositamente per procurarsi quei 6-7 concerti estivi. Questo porta a due tendenze separate…il disco di Standards o il disco "Sperimentale", in entrambi casi di solito poche idee e poche novità. Anche quando si cerca la strada del Free o della "ricerca", si cade invece nell’accademia, non si cerca la novità l’idea nuova, ma riproporre quelle che, ormai 40 a
nni fa erano sperimentazioni: L’arte che diventa Accademia e quindi smette di essere sperimentazione (e questa a difesa del genere è una tendenza che possiamo riscontrare in molte forme d’arte moderne).
Fatte queste prolisse premesse, mi si perdoni l’allitterazione, cosa rimane se suonare Jazz non è un mestiere, ma allo stesso tempo non è più Arte e Creazione?
La mia scelta personale è stata quella di continuare a comporre a scrivere e a suonare, ma deviando su altri contesti, la Musica da Film ad esempio che mi sta dando tante soddisfazioni personali (e dei corrispettivi economici…che non guastano), ma soprattutto la libertà di poter scrivere ed improvvisare MUSICHE, senza spade di Damocle sulla testa che si chiamano Generi Musicali, ed il piacere di poter far ascoltare le proprie creazioni ad un pubblico più vasto e più disposto a recepirle.
Esiste anche un aspetto sociologico da tenere presente: i locali, i teatri ed i festival sono spesso disertati dai più giovani…in favore di Youtube, Myspace e Facebook. E dunque quando il numero di ascoltatori dei propri lavori in rete supera quello degli spettatori in sala ai concerti, è assolutamente il tempo di farsi delle domande e cercare delle risposte.
Alla domanda "Qual’è la Salute del Jazz in Italia oggi?" non saprei cosa rispondere, o meglio, potrei dire che l’ambiente in generale "vivacchia". I Festival ci sono, anche se quelli che rischiano di più (facendo il "mestiere" vero del festival che è quello di proporre cose NUOVE al pubblico) non hanno vita lunga. I Musicisti ci sono, e anzi aumentano e bene o male suonano, anche se si adeguano alle mode del momento. Quello che si tiene poco presente è la MUSICA in sè, che sta annaspando e soffrendo, martoriata da organizzatori, promoter e musicisti, perdendo ogni giorno di più la sua ragion d’essere quando si adegua troppo ai desideri del pubblico.
Miles diceva che in un rapporto musicale equilibrato il musicista deve suonare Per Sè, Per il Pubblico e Per gli altri musicisti che sono sul palco. Quando manca uno dei vertici del triangolo la nostra musica Muore…ad ognuno le proprie conclusioni.
Sto scoprendo invece molto Jazz nelle scuole, con i bambini delle Elementari ed i ragazzi più grandi. Nelle loro condotte musicali c’è entusiasmo, movimento, voglia di esprimersi e di ascoltare più di quanto ne abbia trovato su un palco con tanti colleghi.
E’ questa l’amara, non per me, constatazione che mi porta a fare pochi concerti, per rispondere, "in breve" alla domanda che ha dato il via a questo post enormemente prolisso.
Fortunatamente gli uffici postali italiani ci concedono la grazia di fermarci ogni tanto e riflettere. Ora serviamo il P055. Che sono io.

Author:

/

Tags: