“My Love Affair With Marriage” recensione Colonnesonore.net

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Scritto da Massimo Privitera.

My Love Affair With Marriage (2023)
MovieScore Media
48 brani – Durata: 47’15”

Nel 2014 l’etichetta MovieScore Media mise alle stampe la OST di Rock in My Pockets (leggi nostra recensione) composta dal nostro Kristian Sensini per il film animato ‘adulto’ della scrittrice, disegnatrice e regista newyorkese ma di origine lèttone Signe Baumane, che si aggiudicò in rinomati Festival di tutto il mondo ben 7 vittorie e 6 nomination; la musica originale ottenne la candidatura agli Hollywood Music In Media Awards (HMMA) e ai Jerry Goldsmith Awards, nonché il premio dei lettori della nostra rivista come miglior partitura straniera del 2014. Lo scorso anno la Baumane e Sensini tornano a collaborare insieme per un altro film d’animazione dalle tematiche adulte dal titolo My Love Affair With Marriage, con lo score prodotto da MovieScore Media ancora una volta. Una pellicola in corsa agli Oscar nella categoria miglior film d’animazione che ha già conseguito 14 vittorie e 21 nomination in giro per il globo, tra cui la candidatura allo score al Latvian National Film Festival.
La storia narrata, sempre con arguta maestria e delicato dileggio, quasi sorta di musical e dramma yiddish alla Yentl, ruota intorno ad una giovane donna scattante, Zelma, determinata a conformarsi alle pressioni del canto delle Sirene della Mitologia per essere amata, ma più si conforma, più il suo corpo resiste. Una trama di ribellione interiore femminile tratteggiata con quella visionarietà ironica e dissacratoria, brutale e mordente, brillante e vibrante tipica della sua autrice, con un disegno animato vecchio stampo nei tratti, oniricamente felliniano e dalle dinamiche surreali alla Monty Phyton e alla Roland Topor (quello del cult Il pianeta selvaggio del 1973 diretto da René Laloux), che viene servita musicalmente in maniera assai partecipativa e intelligente dal marchigiano Sensini in quasi 48’ di partitura tra pagine tribali, melodie klezmer, canzoni anni ’60 e ‘70 simil Off Broadway e leitmotiv eterei.
Andiamo per ordine (quasi) track by track: “Opening Title Music” si apre con un organo chiesastico e vocalizzi femminei elegiaci (Trio Limonāde) che assumono forme da carola natalizia per una melodia leggera. “Enter Zelma” suona tribale con effetti vocali maschili tibetani cavernosi a primeggiare e un didgeridoo e vari altri interventi strumentali etnici sullo sfondo a sottolineare qualcosa di selvaggio e anticonvenzionale nella figura della protagonista, difatti commentata da un temino aeriforme vivace che cerca di farsi strada tra tutto il frastuono percussivo e brutale d’insieme. “Soul Mate” è una canzone in stile Clannad poeticamente soave, con quell’arpa e violoncello in controcanto a fare da cornice alla voce incantatoria del Trio Limonāde. “Zelma’s Goodbye” è una breve marcetta funerea per archi e spazzole. “First Maris Fantasy” è la base solo strumentale della song “Soul Mate”. “Elita’s Song” è una nuova frivola e irridente canzone pop molto anni Settanta tra Burt Bacharach e Marvin Hamlisch con performance del suddetto trio, e in aggiunta Dagmara Dominczyk (voce di Zelma) ed Erica Schroeder (voce di Elita) dialoganti nel film.
Con “Neural Connections” si ritorna dalle parti del tribalismo come per “Enter Zelma”: atti percussivi etnici che altro non sono che il leitmotiv della protagonista a calcarne le ribellioni interne verso una comunità che non riesce a capire, sentendosi oppressa. “Second Maris Fantasy” risuona etereo con arpa in primo piano. “Love Fantasy” marca l’aspetto elegiaco astratto pur nella sua brevità, invece “Self Control” con marranzano e percussioni tribali mescolate suona misterico. “Mother’s Song”, con performance del trio più dialoghi in contraltare di Dagmara Dominczyk e Florencia Lozano (voce della madre di Zelma), è una canzone beat-jazz alla Yentl, dal sapore musical alla Bob Fosse. Rock alla Rocky Horror Picture Show nel dinamico “Sex Appeal”. “Zelma’s Bones” pompa cardiacamente una sensazione di ossa rotte che si aggrovigliano, insieme al successivo “Poberty” che diviene sinteticamente e percussivamente misterioso e sospensivo.
Musica klezmer danzante in “Jonas’ Fantasy”. Funky Groove rockabilly anni Settanta nella canzone “Virginity” del Trio Limonāde. “Sergei’s Fairy Tale” per violino zigano solista suona mesto e rimembrante all’inizio per poi andare verso zone sonore yiddish alla Violinista sul tetto. Ritmi da danza del ventre indù in “Cortisol” come anche in “Dissolution of Self”, ma più meditativi. “Zelma’s Room”, per archi tenuamente svolazzanti, fa prendere un respiro alla partitura, tutta composta da tracce più o meno brevi nella durata. “Yes Yes Yes” altra canzone del fantastico trio femminile, di stampo farsesco beat generation. “Neurotransmitters” velocemente tribale, mentre “Natural Plan” altra nuova canzone spirituale alla Andrew Lloyd Webber per Jesus Christ Superstar con voce di Cameron Monaghan che doppia Sergei.
“Oxytocin Part 1 – 2” sono due pezzi tribali ascetici. La sequenza susseguente di tre canzoni del trio, ovvero “First Shame”, “Beads” e “Marriage is Forever”, sono tre interventi da coro greco in stile pop anni ’70 molto cordiali, frivoli e spumeggianti al contempo. “Alone” con la voce dialogante di Cameron Monaghan, controbattuta dal trio, è ficcante, viceversa lo strumentale “Bo’s Fairy Tale” risulta essere sospensivamente luminoso e avvolgente. Jazz ritmico indù nel frenetico “Bo’s Hormones”. Rock con schiocco di dita alla Rocky Horror Picture Show nell’aggressiva e simpatica song “Weak”. Un violino solista zigzagante alla Uccellacci e uccellini morriconiano in “A Gallery in Denmark”. Inseguente il pezzo “Microbiomes”. Pastorale e celtico “Falling in Love”. “Dopamine” rimbomba cavernosamente misterioso nella sua tribalità sostenuta. Country folk ballabile in “Miracles” per il sempre più sfolgorante Trio Limonāde.
“Happy House” canta giocosamente pop anni ’60 alla Elvis Presley con voci di Matthew Modine (doppiatore di Bo) e di Dagmara Dominczyk. Ascetico “After the Wedding”; celestiale con reminiscenze pop anni ’60 alla The Supremes in “Parasite” e “Baby” in stile “I Heard It Through the Grapevine” di Marvin Gaye. “Back To Latvia” per viola solista riecheggia drammaturgicamente doloroso. E arrivando alla canzone conclusiva dopo alcune tracce tribali di puro commento e la nenia sorridente “New Harmony” con voce di Zelma e ultima gradevole performance del Trio Limonāde, ecco la splendida, accattivante e amabile “Lion/My Love Affair With Marriage”, eseguita intensamente dalla cantante, cantautrice, attrice e autrice americana Storm Large, che risuona subito nelle orecchie come tormentone pop moderno senza abbandonarci più, la quale si meriterebbe una nomination agli Oscar nella categoria miglior canzone. Vero coup de théâtre sonoro di una colonna musicale molto interessante, ben costruita dentro e fuori il film e assai sovrabbondante ad ogni ascolto ripetuto.

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